IL PROFUMO DELLA MIMOSA SCRITTO DA LUCY E ME

  IL VOLUME COMPRENDE CIRCA 150 PAGINE CON UN CENTINAIO DI FOTO DEL NOSTRO GIARDINO  E' ACQUISTABILE SUL SITO  ILMIOLIBRO.IT

PUBBLICHIAMO QUI SOTTO LA PARTE  "SCRITTA".






Il mio giardino non è solo mio
Il mio giardino non è solo mio.
Il mio giardino è anche il giardino di mio marito, di mio figlio, della mia nipotina Rossella, e di tutti coloro che lo hanno  visto e apprezzato o che spero lo apprezzeranno. Ed è anche il giardino di tutte le amiche che  mi hanno incoraggiato e generosamente mi hanno finanziato  facendomi dono di piante, fiori, sorrisi e consigli.
Ma è anche il giardino delle farfalle  che fanno una sosta  e si posano sulla lavanda  fiorita, sui cisti e  sui tulipani, sui rosmarini e sui gerani. E non disdegnano posarsi sull’agapanto o stordirsi col profumo della piracanta, della scabiosa o del caprifoglio.
Le farfalle in primavera, in estate e nelle tiepide giornate d’autunno si divertono ad eseguire incredibili e imprevedibili acrobazie aeree  svolazzando tra le rose, gli hemerocallis, le cosmee, i gigli, gli echium e il prugnolo…
Talvolta indugiano e, immobili, pare che sollecitino il nostro applauso… 
Tra gli ospiti graditissimi, i merli, che hanno trovato  nel giardino un habitat ideale  anche per nidificare. E’ uno spettacolo impareggiabile  osservarli mentre perlustrano gli alberi alla ricerca  di una biforcazione adatta alla costruzione  del nido. Scelta la location (siepe o arbusto), naturalmente bene occultata  dal fogliame, si dà inizio ai lavori. Ogni pagliuzza, ogni rametto è utilizzato e cementato  con   il   fango, facile da trovare alla fine dell’inverno.   Un lavoro che viene svolto soprattutto dalla merla, mentre il suo compagno è impegnato nella sorveglianza dei lavori in corso, scoraggiando eventuali intrusi. Stesso ruolo di guardiano papà merlo  lo svolgerà nelle tre, quattro settimane  dell’imbeccata dei piccolini con insetti e  con lombrichi ridotti a polpettine. E poi…fuori dal nido, siete pronti per mettere  su la vostra  famigliola (Lucia).
PENSIERI in GIARDINO  
Il giardino ha meno bisogno di cure di quanto si è soliti pensare.
                               
Il problema vero è che spesso pensiamo di poter trasformare qualsiasi terreno in un giardino, o meglio, nel giardino che abbiamo pensato. E ci sbagliamo.
Lucy ed io ci siamo innamorati di un lotto di terreno edificabile ai piedi di una collina. La vista dei pini che baciavano con le loro chiome verdissime  l’azzurro del cielo, la presenza di uno bosco di querce  a  ridosso del confine: sembrava il posto adatto a noi, stanchi di aver vissuto in un appartamento in città per oltre trent’anni.
Ottocento metri quadrati di terreno roccioso. Il dilavamento causato dalle piogge invernali aveva causato la completa erosione del sottile strato di humus, dopo decenni di totale abbandono.
Soltanto l’inestricabile ammasso di rovi, rosa canina, cisto e mirto aveva impedito che la nuda roccia ri-saltasse con impietosa  evidenza.
I primi lavori sono stati orientati al disboscamento rovi-noso; i mirti, finalmente liberi dal viluppo della rosa canina e dei rovi secolari, ci sono apparsi in tutto il loro nudo  splendore.
Dodici metri cubi di pietre (per la gran parte granito) sono stati utilizzati nei  muretti a secco per la sistemazione a terrazze del declivio; opus incertum, la definizione di Bruno, un carissimo amico, per la tecnica adottata, in pratica una pietra sull’altra alla moda nuragica. Il risultato è stato il contenimento efficace del terreno e il conseguente radicamento delle piante e degli arbusti messi a dimora.
La fase dell’impianto prevedeva anche un discreto quantitativo di terra integrata generosamente con terriccio e stallatico. La costruzione della casa era ormai in dirittura d’arrivo.
 Al disopra del nostro futuro giardino, venne messo  in vendita un ulteriore appezzamento di altri 1400 metri( nel passato,  una vigna che occupava quattro terrazze con dei  muretti perfettamente integri, costruiti a regola d’arte).
 Un’occasione da non perdere! 
Detto fatto: lo spazio utile da adibire a giardino raggiungeva una superficie complessiva superiore ai  1800 metri.
Nell’autunno 2005 e nella successiva primavera  abbiamo piantumato  un centinaio di alberelli (ulivo, ginepro, viburno, melaleuca, oleandri, corbezzolo, mirto, lentisco, piracanta, pitosforo, palme nane, . ..).
Eravamo nel bel mezzo di un’euforia irrazionale, un vero e proprio delirio emerso improvviso e inarrestabile. Una pazzia…
La primavera del 2006 coincise anche con il nostro trasloco nella nuova abitazione: a parte i lavori ancora in corso per la recinzione, la sistemazione del cortile (tutte  opere egregiamente condotte e ultimate dal bravissimo Sergio), Lucy ed io ci siamo buttati a capo fitto sulla nuova avventura del giardino.
Occorreva una sorta di separazione dei ruoli.  Mia moglie propendeva per il giardino esuberante di fiori. Io, naturalmente, per la parte alberata. E così si trovò anche l’accordo per il budget di spesa: fifty-fifty, ad ogni 50 euro spesi in piante    ornamentali  o  da frutto, corrispondeva altrettanta spesa  per i fiori. Va da sé che Lucy si portava a casa quindici vasi, io mi dovevo accontentare di tre alberelli.
Indimenticabili, sia per noi sia per il signor Pietro addetto alle vendite di un vivaio di Villacidro, le mattinate trascorse settimanalmente per gli acquisti.
Lucy si presentava all’appuntamento settimanale con una lunga lista di richieste e poi contrattava, come un mercante fenicio, i prezzi e gli sconti. E poi le richieste di chiarimenti sulla cura da riservare a ogni creatura che non era soltanto acquistata da mia moglie: era adottata.
Povero signor Pietro! Qualche volta cercava di indirizzarci (con la scusa che doveva occuparsi d’altro) verso il suo collega, che però si vedeva  costretto ad abbandonare la partita.   Solo il capo poteva soddisfare le richieste di Lucy, che scoprii essere decisa, caparbia, informata ed esigente.  
Col tempo si delinearono due strategie di approccio al giardinaggio. Mia moglie, forte delle sue molteplici  fonti (Riviste, libri, siti internet) propendeva decisamente per un giardinaggio scientifico,   tipo:  x  centimetri   di  profondità   della buca, y centimetri  di larghezza,  esposizione a nord,sud, sudovest, a seconda della piantina, temperatura esterna da non sottovalutare, ecc.
La mia “posizione scientifica” è di stile popperiano, con la famosa asserzione la scienza progredisce a zig zag, per via degli esperimenti, delle congetture e delle   inevitabili  confutazioni (naturalmente adottata per comodità, pigrizia e quant’altro potesse liberarmi dal controllo ferreo e continuo che Lucy esercitava con inusitata energia)  
Insomma, due  modi completamente opposti di fare giardinaggio.        
Sono ormai trascorsi dodici anni dalla prima messa a dimora del mini-corbezzolo con minuscole radici e forse anche i risultati sono stati fifty-fifty.
Una tecnica scientifica è difficilmente applicabile se ci limitiamo alla fase della piantumazione, del travaso, e delle successive cure; sarebbe necessario studiare anche la composizione del terreno, la statistica della piovosità, delle temperature, la concimazione, l’innaffiatura e via di seguito. Le troppe variabili non risolvibili con una preparazione dilettantesca lasciano aperte troppe incognite.
Tanto vale, pensavo io, fare delle prove…
Ho aperto questo capitolo scrivendo che il giardino ha bisogno di meno cure di quante si è soliti credere, non è una verità assoluta e soprattutto la validità di questa affermazione si palesa  solo dopo i primi anni dell’impianto. E non è assolutamente valido per i fiori travasati né per i fiori da bulbo: in questi casi la cura materna  è assolutamente necessaria.
     
Il  giardino è come la vita.
Il giardino, come la vita, è un insieme di sogni, progetti realizzati e tantissimi rimasti tali, soddisfazioni, dispiaceri, vittorie e sconfitte. E costa fatica, molta fatica.
Poi, col tempo s’impara che c’è un solo modo per non soffrire in seguito  a tentativi mal riusciti, a delusioni cocenti, al pensiero che è stato inutile o che sarà inutile il nostro impegno, la nostra dedizione.
E’ necessario, assolutamente necessario che si faccia l’enorme sforzo di vivere i tempi del giardino; i tempi della natura che non ama essere ingabbiata nei nostri sterili schemi rigidi.
No, il giardino è un’attività naturale, nel senso più vero del termine: naturale poiché  la natura non deve essere calendarizzata, non può piegarsi alle nostre   sciocche   pretese di  saper leggere il disegno che essa persegue. Noi possiamo solo   affiancarlo questo    disegno,   ma   non   possiamo    dominarlo; possiamo intervenire per aiutare, non certo per piegarlo ai nostri desideri. Le sconfitte, in giardino, sono la logica conseguenza di questa nostra sciocca pretesa.
 Nel caso della nostra esperienza decennale è paradigmatico l’esempio  del tentativo fatto e riuscito per due, tre anni, di avere un magnifico giardino tutto colori per metà dell’anno.  Sì, in parte il risultato è stato confortante (e in questo libro abbiamo voluto documentare il caleidoscopio di colori che il giardino esibiva);  ma la quantità d’acqua necessaria allo scopo era davvero eccessiva…
Abbiamo (per onestà dovrei utilizzare il singolare) provato anche con l’orticello.  Neanche a parlarne: una dozzina di piantine di pomodori ( un solo esperimento concluso…) hanno richiesto circa tre metri cubi d’acqua a fronte di un raccolto di appena  mezza dozzina di chili del pomo d’oro! 
Col tempo si attenuano molti  ricordi dell’esperienza vissuta nel nostro piccolo eden, ma ricordo     molto chiaramente    tutte,    dico tutte,    le sconfitte dovute alla mia testardaggine.   
Qualche esempio: tre tentativi di avere un castagno; due volte ho provato con il pompelmo; almeno quattro fallimenti con  il cachi; per il ciliegio una prova all’anno;  con il mandorlo ci ho provato sei, sette volte; neanche con il fico ho avuto fortuna. Penso che l’elenco sia incompleto, ma significativo: per avere non basta volere.
Naturalmente innumerevoli altri trapianti non hanno presentato alcuna difficoltà.
Mi vengono in mente alcuni esempi: corbezzolo riuscito quindici volte su quindici; ginepro benissimo nei dodici tentativi (uno addirittura partendo dalla bacca seminata da Lucy alla nascita di Rossella, la nostra nipotina); ottimo risultato per le tre dozzine di viburno; il pitosforo non ha creato problemi; i sette, otto esemplari di oleandro sono ormai adulti.
Il rosmarino presenta una storia tutta sua. Le prime quindici venti piantine le abbiamo messe a dimora con il travaso. Dopodiché abbiamo intrapreso la strada delle talee; a ottobre-novembre del 2007 abbiamo avviato l’esperimento,    semplicemente infilando un rametto appena potato, direttamente sul terreno, ammorbidito dalle prime piogge. Successo nel 90 per cento delle infilate!
E pensare che ogni vasetto, prima d’allora, ci costava circa tre euro.  
Abbiamo comunicato quello che per noi era un piccolo miracolo al solito signor Pietro che esclamò: “Mi raccomando, non ditelo a nessuno; non tutti lo sanno!”. Una notizia così non si deve divulgare… 
La magia del giardino.
Le farfalle sono indubbiamente le fatine del giardino; anche il nostro costituisce un irresistibile richiamo per dozzine di farfalle, soprattutto in primavera quando i colori (o i profumi, chissà?) le richiamano a frotte.
Svolazzano allegramente quasi fossero stordite; a volte pare proprio che debbano cadere da un momento all’altro tanto la loro traiettoria  appare barcollante, incerta. Invece eseguono dei leggerissimi e precisi atterraggi sui petali dei gerani, del rosmarino fiorito, della scabiosa, sulla profumatissima lavanda, sull’agapanto    Niente di più vero del detto che suggerisce di non rincorrere le farfalle: basta curare il giardino per  fare in modo che vi entrino volentieri sia le farfalle che gli altri insetti, dalle api alle libellule.      
E non mancano le farfalle estive, quando giocano con gli spruzzi d’acqua mentre innaffiamo con parsimonia soprattutto le giovani piante. Ci costa innaffiare, ma dobbiamo necessariamente sottrarre pianticelle e giovani cespugli, non ancora ben radicati,  all’arsura impietosa dei mesi estivi.
E’ una impari lotta con il sole che indugia più del necessario (pensiamo noi, egoisticamente), prima di accucciarsi nel fuoco del tramonto, divertendosi a verniciare d’oro il manto quasi botticelliano che la primavera ha steso per ricoprire il giardino d’incredibili chiazze coloratissime.
E’ la magia del giardino, dal cui cappello escono volta per volta delle meravigliose creature. Una di queste è sicuramente la magica libellula.
E’ il giardino delle cinciallegre, dei merli, dei picchi (uno alla volta, per favore!), dei pettirossi, delle ghiandaie: uccelli che trovano ampio spazio, rami accoglienti e ristagni d’acqua, e che volentieri vengono a trovarci, ricompensandoci con il loro incredibile vociare, che spesso sembra davvero un’esibizione musicale, quasi un concerto. E per noi che abbiamo la camera allo stesso livello del giardino, è veramente un romantico risveglio.
E’ anche il giardino delle lucertole (e sono centinaia) che oziosamente si godono il calore estivo, distese sulle numerose rocce di granito che costellano ogni angolo, ogni camminamento.    Ed è facile individuare le vecchie conoscenze e le nuove leve che, a parte le dimensioni ridotte, hanno ancora la pelle d’un colore tendente al marrone chiaro.
Dovranno attendere un bel po’ di tempo prima d’indossare la corazza verde brillante che le lucertole sfoggiano come fossero dive sul “ red carpet”.
Stare in giardino significa anche posare lo sguardo in basso e osservare il lavorio incessante degli eserciti di formiche che da metà primavera fino all’inizio dell’autunno tracciano con il loro passaggio una rete di piccole autostrade. Osservarle nelle loro spericolate manovre per introdurre nei  depositi sotterranei una pagliuzza lunga cinque, sei volte il loro corpicino, procura una tentazione irresistibile di aiutarle, per agevolare il loro ingresso.
Ambulo in hortis.
Il giardino è soprattutto un luogo adatto per passeggiare, per liberarci dagli assilli e dalle preoccupazione che ognuno di noi si porta dentro, e pensare a noi stessi al di fuori dell’abito consumistico, frenetico, impaziente, inconcludente che  questa società ci ha cucito addosso.
In un bellissimo libro di un giovane scrittore, Leonardo Albano, che è al di fuori dei circuiti dell’editoria commerciale, al di fuori dei programmi televisivi, insomma uno scrittore esordiente, si leggono molte e interessanti riflessioni. Il libro (Storie inconcludenti) si sofferma in particolar modo sulla inconcludenza, come caratteristica delle attuali nuove generazioni, e non solo.   Forse curare il giardino, lavorare  in giardino, stare in giardino,    può essere  una sorta di rimedio allo stress derivante dalla precarietà intellettuale, politica, sociale. In giardino tutto è meravigliosamente provvisorio, ma allo stesso tempo il quadro d’insieme è stabile, fermo, rassicurante. Non esiste più l’ansia di finire un lavoro, perché in giardino i lavori non finiscono mai.  E non vale neppure la programmazione ferrea, metodica, dei lavori, dal momento che il tempo del giardino non collima con i nostri programmi, non sempre.
Ed ecco la necessità di imparare a passeggiare quando  certi lavori non possono essere  avviati e tantomeno conclusi.
Il passeggiare liberamente senza assillo,senza affanno, libera la mente, ti permette di respirare il profumo della libertà, e contemporaneamente impari dal giardino, dai suoi tempi lunghi, che la tua impazienza non ha senso. Impari a saper aspettare il       giorno adatto per cogliere un frutto, per innaffiare, per smuovere la terra attorno a un albero, per potare, per  … guardare e vivere in sintonia con la natura.
A tutto ciò occorre aggiungere la garden therapy oltremodo valida quando si vivono momenti di cupa tristezza in seguito a grossi problemi.  E Lucy può dire la sua, al riguardo: l’attenzione per il suo giardino le ha permesso di ritrovare la serenità necessaria per superare il suo trauma.
Credo che tutto questo sia l’altro aspetto magico  del giardino: il giardino dà a chi lo cura più di quanto il curatore dia al giardino.
 Movimento
Osservare il “movimento” del giardino, in altezza, in larghezza; vedere come lo spazio viene lentamente, ma inesorabilmente occupato da un cespuglio, una pianta, una siepe e chi primo arriva, spesso, costringe  i “concorrenti” all’immobilità, li “mette alle corde”. E ti rendi conto che anche nel mondo vegetale tutto ciò che sembra statico, quasi immobile, è invece in continuo movimento, una continua lotta per la sopravvivenza. Allo stesso modo in cui si svolge la lotta tra le varie specie animali, con la differenza che i tempi sono piuttosto lenti e che il cannibalismo reciproco si risolve in lente, quasi impercettibili azioni di “soffocamento”.  
Folti gruppi di teucrium gareggiano con la fioritura della  vicina westringia formando un mare azzurro che si può superare solo facendosi largo a forza di  bracciate,  allo stesso modo come ci si fa largo in acqua prima di tuffarci nelle acque di Piscinas, di Funtanazza , di Cala Domestica. Esercizio che si può ripetere anche nei sentieri ormai ristretti dalla crescita voluminosa dei rosmarini. Anche i pini. i ginepri ,i corbezzoli, le giovani querce che pensavamo di contenere con le frequenti sforbiciate  a sfera,  crescendo hanno quasi ostruito i sentieri che dieci anni fa avevamo segnato, mettendo a dimora i minuscoli esemplari che mai potevamo immaginare avrebbero potuto diventare adulti, robusti, alti e folti.
Se la cavano egregiamente anche le piante esotiche: jucca, palmette nane, cycas, che nel loro insieme spezzano la monotonia della macchia mediterranea.
Inverno
Nelle lunghe interminabili giornate invernali, cui spesso fanno seguito limpide notti illuminate da una sproporzionata luna d’argento che pare occupare l’intera volta celeste, ecco che in quelle notti, in numerose di quelle interminabili notti, s’alzano  le schiere dei venti freddi del nord che impetuosamente scuotono le cime dei pini secolari, e l’agitarsi di quelle foltissime chiome richiama alla mente l’assordante  rumore del nostro mare assalito dal maestrale. E poi, pian piano, ritraendosi da quegli attacchi implacabili ma sterili sferrati contro i giganti, spinti da nuovi furori, gli indomabili venti   si abbattono, con violente folate,  contro i nostri fragili  arbusti e giovani pianticelle che tentano una inutile resistenza.
L’indomani, al placarsi delle furie notturne, contiamo i danni e ogni rametto spezzato ci ferisce, ci  fa sentire tutta quanta la nostra debolezza. Ma non ne usciamo sconfitti: ogni sostegno lo fissiamo ancora più saldamente sul terreno, lo conficchiamo fin quasi a sfiorare la base rocciosa, leghiamo gli esili tronchi, trasformiamo in tagli netti i rami nei punti in cui la forza del vento ha lasciato i segni del suo passaggio. Quasi vien voglia d’incoraggiare i più deboli e i più fragili esemplari, parlandogli mentre procediamo a rinforzarli sì che possano sopravvivere anche ai prossimi inevitabili attacchi. E quelli maggiormente robusti tra di essi, i ginepri ad esempio, che pochi danni hanno patito, con il loro fusto eretto e ben protetto da un foltissimo intreccio di rami, sembra quasi che aspettino di ricevere le lodi.
La terrazza che si trova al confine est, al limite del sentiero che s’inoltra dapprima nel bosco di querce per poi arrivare alla pineta, l’abbiamo lasciata immutata, allo stato  naturale con le ginestre spinose, i cisti bianchi e rosa, i caprifogli e le eriche profumatissime, con alcuni olivastri e due sparuti nespoli (nati da semi arrivati lì per caso) che dopo sei,  sette anni sono riusciti, con notevole sforzo, a portare a maturazione cinque o sei frutti dorati.
Si può comodamente passeggiare  lungo tutto il sentiero e volgere lo sguardo verso la collina che sovrasta il paese, un tempo annerita dai ricorrenti incendi e oggi ricoperta da un centinaio di simpatiche e colorate villette che si appoggiano sul versante che guarda a sud. 
E i tramonti, in qualsiasi mese dell’anno, regalano uno spettacolo infuocato mentre il sole precipita  oltre le dolci colline che si  allungano e digradano anch’esse a segnare il percorso  verso il mare, quello verdissimo   della nostra costa.
Il giardino come filosofia.
Se ci rifacciamo al significato della filosofia, come ricerca e amore della conoscenza, come possiamo escludere il giardino dal percorso filosofico? Se non si vive almeno un poco della nostra vita a stretto contatto con le stagioni, con i cicli della vegetazione, con il paesaggio naturale, come si può apprezzare e difendere l’ambiente?
Vivendo in città e magari ogni tanto facendo un po’ di jogging attorno  al condominio dove abitiamo? Si può apprezzare l’incredibile varietà delle creature vegetali stando due ore ad ammirare i paesaggi che ci vengono proposti nei documentari televisivi?
Sì, tutte attività utili, ma non sufficienti. Solo quando ti sporchi le mani lavorando la terra, seminando, piantando, potando, innaffiando, allora, solo allora il percorso ecologico ambientale è bene avviato.  Certamente non concluso…
Il giardino è anche una palestra per imparare qualcosa di più sul tempo che passa, perchè i  segni che questo passaggio lascia sono facilmente leggibili osservando le piante, i fiori, i colori delle foglie, i frutti che maturano, le  lunghissime e interminabili giornate piovose, uggiose, in attesa che il sole torni a illuminare le giornate.
Ed ecco che il tempo non è  un concetto astratto e personale che rallenta o fugge via a seconda dei nostri stati d’animo. No, il tempo che possiamo osservare stando in giardino è la sua esatta misurazione, senza bisogno di ricorrere a sofisticate interpretazioni o difficili letture.
Passeggiare in giardino significa anche re-imparare a respirare. I nostri polmoni abituati spesse volte a fare piccoli e calcolati respiri stando in città, ora, in giardino, possono riempirsi di vero ossigeno, senza timore alcuno. Otteniamo lo scopo di ossigenare i polmoni e ossigenare la mente; vi sembra poca cosa?
Tutti i sensi, stando in giardino vengono valorizzati: facile da capire, dal momento che i colori, i profumi, i suoni della natura ci aiutano a ritrovare una dimensione naturale dei nostri giorni, del nostro “fare”, del nostro aspettare, del nostro vivere.  
A che punto è il giardino.
Il tratto distintivo del giardino è ormai costituito da scorci di macchia mediterranea in parte guidata e in parte assolutamente priva di qualsiasi indirizzo: ne viene fuori un’immagine che nel suo disordinato espandersi si accorda con il resto della vegetazione boschiva  che fa capolino oltre la siepe di confine.
E il sole, per buona parte della primavera e per l’intera estate, senza sosta lancia strali roventi sulle piante che forzatamente e ingenuamente abbiamo voluto inserire in un contesto non adatto ad esse. Contesto che, al contrario, accetta e favorisce esclusivamente la nostra macchia mediterranea che con le sue radici e con le sue foglie, rinnova le sue sfide al caldo estivo, al terreno reso arido da una siccità prolungata per mesi. E vinceranno ancora una volta il mirto, il corbezzolo, il lentisco, il rosmarino, il teucrium, il ginepro, pronti ad assaporare con voluttà le prime piogge invernali e ad accumulare le riserve d’acqua che torneranno di nuovo utili la prossima torrida estate.
La presenza assidua, l’impegno costante, l’osservazione attenta sono le indispensabili premesse affinchè  ogni evoluzione, ogni crescita e allo stesso tempo ogni   pericolo per i nostri numerosissimi ospiti vegetali vengano individuati e laddove possibile guidati, contenuti. Certamente non possiamo prevedere, ma possiamo arginare.
Lucy ed io ricordiamo sempre con molta amarezza l’esperimento intrapreso per ospitare nel nostro giardino un castagno. Dopo una giornata trascorsa all’ombra dei boschi di castagni nella Barbagia di Belvì, ad Aritzo, a Tonara, ci allettò l’idea che forse anche noi potevamo credere nel bel sogno di avere un castagno. Ci piaceva fantasticare immaginando i ricci delle castagne che avrebbero ricoperto una parte della nostra terrazza ai confini con il bosco, dove l’altitudine sfiora i 400 metri. Immaginavamo i nostri numerosi (!) futuri nipotini dormire all’ombra di un castagno che vedevamo già imponente, gigantesco.
Il solito signor Pietro ci consigliò due castagni, uno sardo e l’altro originario dell’Irpinia. Ci assicurò che nel giro di 8-9 anni avremmo potuto  fare delle pantagrueliche  mangiate di caldarroste … “E ricordatevi di portarmi un assaggio del primo raccolto dei marroni…”
Bene, al terzo anno dall’impianto,  alla metà circa di giugno, una bolla di calore che superò sicuramente i 40 gradi, fece andare in fumo tutti i nostri sogni: castagno, ombra, nipotini, castagne…Il nostro castagno  venne letteralmente arrostito,: altro che caldarroste!      
     
 Il passaggio generazionale
Due anni fa abbiamo fatto ritorno a Cagliari. Una decisione sofferta, ma necessaria. Lasciare il giardino ci è costato quanto lasciare la casa; sapevamo che, pur essendo ormai maggiorenne il nostro piccolo eden aveva ancora bisogno della nostra presenza. La visita settimanale, inizialmente programmata, si è rivelata assolutamente impraticabile e, a ben guardare, sarebbe stata comunque una cadenza del tutto insufficiente, almeno nei mesi della bella stagione, come a dire da aprile a ottobre, per lo meno.
Affidarci a un giardiniere oltre che troppo dispendioso non poteva costituire una soluzione ottimale. Per il momento se ne sta occupando nostro figlio e questa soluzione dovrebbe rivelarsi, col tempo, la migliore.
Non è ormai un giardino coloratissimo, con una profusione di fiori estesa durante tutta la primavera e buona parte dell’estate: è un giardino adatto al clima, alla siccità, alla povertà del terreno, alla nostra attuale situazione della salute e delle forze, è insomma un giardino che dovrà adattarsi per sopravvivere.
E’ un giardino che richiede molto meno impegno, meno presenza assidua, come è stato fino a ieri, ma che sicuramente non può essere trascurato eccessivamente.
Abbiamo voluto riassumere con questo libriccino il  percorso di giovanile esuberanza e ottimismo che ha accompagnato la nascita e la cura del giardino nei dieci  meravigliosi anni della nostra vita   vissuta a contatto con la natura: l’abbiamo fatto con entusiasmo pensando anche a nostro figlio e, negli ultimi anni, alla nostra meravigliosa nipotina.
Ora non ci resta che sfogliare un centinaio di pagine piene di foto a colori, di sogni, di amarezze, di gioie, di sudore, con la speranza che quel piccolo miracolo cui abbiamo assistito e a cui abbiamo contribuito non resti solo racchiuso in questo libro, ma continui a vivere.       
Le foto dei  fiori e delle piante sono degli autori e di Marco. I nomi dovrebbero essere noti;  però qualche nome forse non lo è. Ecco perché a questo punto segue un elenco: l’attribuzione dei nomi può essere un divertente gioco. Provate…
Gazania, prugnolo, grevillea, echium, lavanda spontanea e coltivata, cisto bianco e cisto rosa, piracanta, calendula, gaura, agapanto, sorbo, strelitzia, hemerocallis, caprifoglio, carota selvatica, euphorbia, viburno, iris, ginestra spinosa, parkinsonia, hardenbergia, artemisia, dracena…    

Commenti