DAL ROMANZO "INAMERICA": L'EPIDEMIA SPAGNOLA IN SARDEGNA

 Peppino, nelle giornate in cui faceva ritorno a casa escluso dalla chiamata, subiva con pacata rassegnazione le lamentele di Filomena; la donna comunque si limitava a generiche considerazioni sulla sfortuna senza trascendere in scenate cariche di rancore. I due giovani, venticinque anni lui e ventidue lei, erano sposati da quasi quattro anni. Si erano sistemati nella vecchia casa del nonno di lui, Antioco Sulis, rattoppata approssimativamente, ma che la giovane coppia accolse come manna dal cielo.

Non avevano figli; o meglio, non avevano più la loro figlioletta Isabella, vittima della febbre dei tre giorni; vittima della maledetta epidemia: la spagnola.

L'implacabile falciatrice, nell'ottobre del 1918, fece una vera e propria strage a Montecciu: in un mese si contarono nel paese 52 vittime sul totale di 1.666 abitanti, un numero di morti uguale a quanti se ne contavano in un anno e mezzo. Il sindaco del paese, d'accordo con il parroco, emanò l'ordinanza che vietava i rintocchi a morto delle campane della chiesa parrocchiale. Si ritenne opportuno non allarmare ancora di più gli abitanti di Montecciu con i lugubri e ossessivi rintocchi scanditi dalle campane durante i funerali.

Il paese era già stato decimato a causa della Grande Guerra che provocò disperazione e lutto in almeno quaranta famiglie. I caduti in guerra erano tutti giovani d'età compresa  tra i diciotto e i trent'anni: olocausto per la patria; gioventù strappata agli affetti famigliari, alle fidanzate, alle spose.

Ma quel sacrificio non bastò evidentemente. Ed ecco che ci pensò la maledetta influenza a completare l'opera.


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A poco o a niente servivano i rimedi popolari, alcuni a base di decotti, di fumigazioni, di tegole e mattoni caldi posati per ore sul petto dei contagiati.  

A poco servivano anche i rimedi scientifici della medicina ufficiale: si faceva largo uso della tintura di oppio canforato come analgesico, fenolo e mentolo, percloruro di mercurio, iniezioni a base di canfora.

Non era incoraggiato l'uso del chinino da parte dei medici essendo la disponibilità di questo medicinale quasi del tutto assorbita dalla cura della malaria.


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