Frammenti di racconti scompigliati

 PREFAZIONE Alcuni romanzi – brevi o lunghi – e anche taluni racconti, contengono spesso l’amalgama di più frammenti inseriti nel testo e che completano il quadro principale della storia, allargando la narrazione a fatti e personaggi non essenziali, ma che spesso emergono prepotentemente a completare la trama. Ma tali brani complementari potrebbero avere una loro vita propria? Questo mio tentativo è diretto a verificare tale possibilità. Per questo motivo ho scomposto alcuni miei racconti lunghi e due romanzi brevi (La danza del drago e Is animas) in diverse parti inserendole quindi in questa raccolta volutamente alla rinfusa. Completano la presente antologia altre microstorie e brevissimi racconti. 

UNA NUOVA RELIGIONE. Il luogo del raduno, dell’assemblea, la meta insomma era, anche per i seguaci sardi, un’altura. Era così per gli adepti veneti, lombardi, siciliani, ecc. In ogni regione era stata organizzata la convention. Stessa musica per altre diecimila comunità sparse nel mondo e i cui membri accettavano il complesso delle dottrine di quella inarrestabile religione che aveva come punto d’incontro la comune fede nel telefonino. L’età dei fedeli non contava: tutti erano invitati ad abbracciare il nuovo credo religioso, purché il loro aggeggio telefonico (smartphone o iphone che fosse) potesse ricevere mail e che si fosse iscritti a facebook, per lo meno. Date le premesse, le fasce d’età escluse dal mega raduno universale erano quelle degli ultrasessantacinquenni, data la loro preferenza per i telefonini di vecchia o vecchissima generazione, privi di collegamento internet. Il 31 di marzo del 2023 vennero diffuse milioni di convocazioni che arrivarono sui telefoni cellulari dei cinque continenti ( l’Artico e l’Antartico non parteciparono alla kermesse del telefonesimo in quanto in quegli sperduti freezer internet non prende bene). La convocazione era stata decisa per il 3 aprile in occasione del 50° anniversario della prima telefonata di quel geniaccio di Martin Cooper, da un telefono cellulare Motorola. Il raduno in Sardegna si sarebbe svolto sulle alture di Barumini. Matteo ricevette l’invito a recarsi sulla collinetta dove sorge il nuraghe, all’imbrunire del 3 aprile, lunedì. Occorreva poi unirsi alla folla dei fedeli in solenne processione innalzando al cielo il telefono ben illuminato, a mo’ di fiaccola. E così fece Matteo. Decine di migliaia di fedeli sardi, giovani soprattutto, si misero in cammino.. Partirono da Pirri, da Cagliari, da Quartu, da Oristano, da Fordongianus, da Carloforte, da Ruinas, da Setzu… La processione dei followers s’ingrossava sempre più, era ormai un fiume in piena. L’insieme delle suonerie che diffondevano i muggiti dei buoi, i clacson dei camion, le sirene dei carabinieri e quelle - acutissime – dei vigili del fuoco, le note della Nona e il coro dell’Aida, l’inno di Mameli, le campane della basilica di San Pietro, riempivano l’aria. Il tramonto era imminente. All’improvviso una enorme astronave a forma di telefono - modello Motorola … - con un sibilo a coprire l’intero frastuono telefonico, plana dolcemente nella vallata tra Barumini e Tuili. Sarebbe stato ancor più spettacolare un atterraggio là dove sorge Su Nuraxi, ma la presenza di alcuni grandi massi lo impedirono… Furono fatte migliaia di foto e selfies; una tempesta di flash illuminò a giorno l’intera scena. E poi, un correre all’impazzata giù nel declivio del colle nuragico verso la dimora del dio telefono che, spenti i motori, aprì l’immenso portellone. Ora, finalmente, i followers potevano precipitarsi ed entrare nell’immenso salone, nel maestoso tempio extragalattico. Una vera scenografia apocalittica! I telefoni iniziarono a squillare all’impazzata, senza che nessuno avesse inoltrato alcuna chiamata. Quella bolgia infernale venne avviata dal computer centrale che occupava la volta dell’antro dell’astronave e le migliaia di suonerie trasmettevano un input irresistibile che guidava la folla – come una immensa mandria di bisonti - all’interno del veicolo spaziale. Anche il telefono di Matteo squillava, squillava, squillava… Ahiò, Matteo, svegliati! Sono le otto, e ti sto aspettando da un quarto d’ora. Muoviti! Peccato, disse Matteo a Fabio. Potevi aspettare ancora cinque minuti. Così non saprò mai cosa è successo nell’astronave che è atterrata a Barumini! Da quel giorno, Fabio decise che forse 14 anni sono pochi per farsi lo spinello ogni santo giorno all’uscita da scuola, in compagnia di Matteo.

IL VILLAGGIO MINERARIO Le abitazioni, poco più che baracche,venivano concesse in affitto, dietro corrispettivo di un modestissimo canone, non certo per spirito filantropico, ma per la semplice ragione che, non esistendo mezzi di trasporto idonei, costituivano la inevitabile soluzione di un problema logistico. La maggior parte dei “minatori“, però, preferiva affrontare la fatica di un’ora o due di cammino, pur di non abbandonare le abitazioni situate nei paesi circostanti e in questo modo alle otto-dieci ore di duro lavoro aggiungevano anche le due o tre orette di “viaggio”, tra andata e ritorno. Nell’assegnazione degli alloggi si dava priorità ai minatori sposati e ancor più, naturalmente, si favorivano le famiglie numerose. Le abitazioni, nella quasi totalità, erano a un solo piano e comprendevano non più di due o tre vani. I residenti le chiamavano “cameroni”. Le facciate esterne erano dipinte di rosso, giallo, bianco, verde....Venivano individuati come “cameroni rossi”, “cameroni bianchi”, “cameroni gialli”.... Le case erano affiancate le une alle altre; una sorta di villette a schiera che per la maggior parte degli occupanti – la cui provenienza geografica era la più svariata, ma che che si uniformavano a un’unica classe sociale di provenienza: quella affollatissima di poveri disperati, alla ricerca di un presunto Eldorado minerario. Un vero microcosmo di diverse etnie provenienti da tutti gli staterelli sorti nell’ultimo millennio sul territorio della penisola italiana, poi unificati da quella forzata unità risalente al quart’ultimo decennio del 1800. Piemontesi, lombardi, veneti, toscani, siciliani, sardi del capo di sopra e del capo di sotto, tutti ancora lontanissimi dall’essere pervasi da quella italianità che solo qualche guerra aveva tentato di accelerare. Ma torniamo alle abitazioni del villaggio minerario. Intendiamoci, non è che le case nei paesi della Sardegna, all’epoca, fossero dei capolavori urbanistici, tutt’altro. I paesi circostanti la zona mineraria di Montevecchio e Ingurtosu erano il risultato di una scelta urbanistica che nulla aveva da spartire con le idee del barone Hausmann ... Si trattava di un ammasso informe di misere casupole che si affacciavano tristemente ai lati degli “stradoni”. Stradoni venivano chiamate le tratte “urbane” delle strade provinciali o statali che scorrevano lungo i paesi e che di questi costituivano l’unica vera arteria percorribile dal variopinto traffico che si può immaginare prevalentemente animale, come a dire animale vero e proprio e umano. Scorrevano gli stradoni come fossero dei fiumi e, come tutti i corsi d’acqua della Sardegna, se presentavano un aspetto tranquillo, placido e stagnante nei lunghi mesi asciutti, divenivano invece impetuosi torrenti fangosi durante e dopo le abbondanti piogge invernali. E come fiumi venivano alimentati dagli affluenti di sinistra e di destra, cioè quella rete intricatissima di vicoli e vicoletti, che fungevano da canali di raccolta delle acque. Questo vasto delta si ramificava per l’intero paese a formare una sorta di inestricabile labirinto, noto solamente a chi vi abitava. E questa frequentazione riservata solamente a coloro che abitavano nelle strettissime viuzze del vicinato, costituiva, in un modo o nell’altro, anche una sorta di network antirapina. La rete delle conoscenze era talmente organizzata che non solo le persone, ma anche i gatti e i cani erano additati quali forestieri, facendo scattare in un baleno l’informazione porta a porta “ma di chi sarà quel cane” oppure “un gatto così nero non l’avevo mai visto da queste parti”. Figurarsi poi se a bighellonare era qualche giovinastro, discolo o sfaccendato, che magari si ritrovava a passare da quelle parti con la balorda idea di entrare in un cortile o in una casa... Questi i pensieri e i timori ricorrenti, tranne poi scoprire che il giovanotto voleva semplicemente farsi notare, mentre fumava, dalla belloccia del quartiere, per meglio dire, del vicinato. 

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