Sulla Sardegna - storia, racconti riflessioni

 Fine del periodo giudicale. Pisa e Genova 

L’età giudicale venne contraddistinta dall’ingerenza di Genova e di Pisa negli affari e nei commerci della Sardegna. Tale ingerenza, inizialmente limitata ai commerci, ebbe inizio nell’ultimo ventennio dell’XI secolo in seguito alla bonifica del mare sardo dalle navi corsare saracene, effettuata dalle flotte pisane e genovesi che accolsero l’appello del pontefice Benedetto VIII. La storia della Sardegna nel XII e XIII secolo è contrassegnata oltre che dalle rivalità fra i quattro Giudicati, anche dalle rivalità e dagli scontri sia delle due Potenze marinare che dalle varie alleanze che di volta in volta coinvolgevano ora l’uno, ora l’altro, tutti i protagonisti. I Giudici, senza grosse risorse finanziarie, senza flotta e senza alcun peso politico, non potevano che affidarsi alla protezione e all’assistenza delle due Potenze. Infatti in più di un’occasione sollecitarono l’appoggio militare e il sostegno finanziario ritenuti necessari, ma che andavano in un modo o nell’altro ricompensati. Le contropartite erano costituite da agevolazioni fiscali, autorizzazioni alla gestione delle risorse economiche, alla costruzione di abitazioni e fortificazioni, alla concessione di monopoli, ai matrimoni combinati degli appartenenti alle più facoltose famiglie pisane e  genovesi con membri delle famiglie regnanti nei Giudicati sardi. La penetrazione nell’Isola delle due Repubbliche, le mire della Chiesa di Roma per impossessarsi a sua volta della Sardegna, le lotte e le rivalità fra i Giudici, portarono alla crisi, alla decadenza e al definitivo tramonto dell’epoca giudicale. E così, uno dopo l’altro, i Giudicati cessarono di esistere. Nel 1215 i Pisani ottennero dai Giudici di Cagliari, residenti nell’antica capitale di Santa Igia che sorgeva tra il colle di Tuvixeddu e lo stagno di Santa Gilla, l’autorizzazione a costruire nella collina di Castello, un quartiere fortificato (Castrum Caralis) destinato ad ospitare le abitazioni e le attività dei numerosi pisani. Quarant’anni dopo, il Giudice Chiano concesse a Genova la rocca del Castello e questa decisione gli risultò fatale, determinando la sua fine (fu assassinato nel 1256). Il Giudicato sopravvisse ancora per due anni fino al 1258, guidato da Guglielmo III, quando una coalizione composta da arborensi, galluresi e pisani attaccò S. Igia, distruggendola e ponendo fine al Giudicato. I suoi territori vennero suddivisi tra il Giudicato di Arborea, quello di Gallura e la famiglia Della Gherardesca, cui andò la regione meridionale. Cagliari venne amministrata direttamente da Pisa. Entro la fine del secolo scomparvero anche il Giudicato di Torres e quello della Gallura. Il primo venne suddiviso tra le potenti famiglie liguri dei Doria e dei Malaspina; si salvò Sassari che divenne comune autonomo. Il Giudicato di Gallura verrà governato direttamente da Pisa. Solamente il Giudicato di Arborea riuscì a sopravvivere ancora per oltre un secolo, fino al 1420. I Pisani, una volta rientrati in possesso del Castrum Calaris, avviarono  una serie di opere per la fortificazione del borgo, per il rafforzamento delle mura e per l’edificazione di diverse torri che permettevano il controllo dell’intero golfo di Cagliari. L’architetto Giovanni Capula (architector optimus et caput magister) progettò le due magnifiche torri, quella dell’Elefante e quella di San Pancrazio, che si sono conservate praticamente intatte, costruite con massi di calcare bianco provenienti dal colle di Bonaria. Tali opere di rafforzamento del Castello vennero eseguite in vista dell’arrivo in Sardegna dell’esercito aragonese, dato per scontato come ovvia conseguenza della licenza d’invasione concessa al re Giacomo II dal papa Bonifacio VIII, nel 1297.

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