Jean Reverzy - Il mio mestiere di medico (La vera vita - Einaudi 1964)

Lo sviamento del medico attaccato al valore  dell'oro e della fama deriva  dalla sua illusione di durata. Egli si comporta come se la sua vita  fosse senza fine, mentre attraverso la malattia, forma visibile della nostra dissoluzione, potrebbe constatare  l'irrimediabile fluire del tempo che la domina e contro il quale la terapeutica è solo un'impresa precaria. Non vi è forrse di che essere sorpresi dal paradosso?   

Bisogna assolvere i dottori che considerano i loro pazienti dei numeri perché, anche se i malati sono uomini come quelli che li curano, non fanno nulla per sembrare  tali. In ospedale  il malato , sfigurato, indebolito dalla sottomissione alla medicina di cui sente ovunque  la presenza, perde  gran parte della sua dignità. Indifferente, senza alcuna angoscia apparente, sempre umile, finora non ha mai alzato  la mano al passaggio del bianco corteo  per gridare: "Attenzione! Sono un uomo come voi. Trattatemi da uomo". Questo silenzio spiega la coscienza, ben radicata in alcuni dottori, di appartenere a una razza molto diversa da quella dei malati. A quei discepoli di Esculapio bisognerebbe augurare abbastanza intelligenza per scoprire da soli l'umanità dei loro pazienti.  (traduzione di Gioia Zannino Angiolillo)

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