Il trenino di Piscinas dal lunedì al
sabato trasportava in continuazione i minerali
estratti nella miniera d’Ingurtosu,
grossolanamente ripuliti dalla ganga, per
essere caricati su capienti battelli che
facevano rotta verso Carloforte e da lì essere
quindi avviati ai porti di La Spezia e di
Savona.
Per l’intera estate alcuni vagoncini
venivano riconvertiti in minuscole
carrozze ferroviarie per accogliere a bordo
le signore d’Ingurtosu e i loro figli; il
treno del minerale si trasformava così nel
trenino del mare, ma solo nelle giornate
festive. Non era raro che trovassero
posto sul trenino anche alcune ragazze
tuttofare al servizio delle famiglie
benestanti che risiedevano nel villaggio
minerario.
Ovidio sapeva che Anna faceva parte
di quel gruppetto di colf e vigilatrici e che
regolarmente trascorreva alcune ore della
domenica nell’assolata, splendida spiaggia
di Piscinas. Così, con la complicità del
macchinista del trenino, una di quelle
domeniche, riuscì a trovare posto nel
predellino della piccola locomotiva.
Il percorso ferroviario era di circa sei
chilometri , dalla laveria di Naracauli al
limitare della spiaggia: lo scartamento ridotto
dei binari, la brevità della tratta, le dimensioni
ridotte della locomotiva e dei vagoncini, ne
facevano una sorta di trenino giocattolo. La
piccola ferrovia si snodava nella vallata
solcata da un ruscello - in estate ridotto a un
pigro rigagnolo - che pareva non volersi
spegnere unendosi all’altro corso d’acqua che
veniva giù dal versante più ripido.
Quest’ultimo, più abbondante, sembrava
invece affrettarsi ad alimentare il mare. I due
ruscelli erano impreziositi dagli oleandri
presenti in entrambe le sponde dei corsi
d’acqua e che esibivano rigogliose e
abbondanti fioriture: prevaleva il color rosa in
varie tonalità, ma non mancavano i fiori
bianchi e quelli rossi. I fianchi della collina
sovrastante i binari erano ricoperti con un
manto inestricabile di macchia mediterranea:
lo splendore della luce mattutina trasformava
la folta vegetazione in uno spettacolo
cromatico che esibiva le impareggiabili
sfumature del verde.
E non era soltanto uno spettacolo per gli
occhi: la calura estiva faceva risaltare i
profumi intensi, quasi acri e pungenti, del
lentisco, del rosmarino, del mirto che in
prossimità della spiaggia si diradavano per
lasciare spazio a splendidi esemplari
di ginepro.
Dalla sabbia finissima, a formare
sorprendenti bouquet, emergevano i teneri
gigli bianchi: uno spettacolo inatteso che
completava il quadro di una natura
incontaminata.
Ogni tanto s’intravedeva una famigliola
di cervi: madre e cuccioli con la testa
all’insù osservavano guardinghi il
passaggio dello strano animale di ferro e
cautamente si
allontanavano nella folta
boscaglia, lassù tra le dune.
E poi, all’improvviso appariva l’immensità
del mare azzurro cobalto di Piscinas.
Difficile capire s’era il profumo della
macchia o quello del mare o l’emozione di
trovarsi a qualche metro da Anna, o magari
tutto l’insieme, ma una cosa era certa: a
Ovidio girava la testa. Era sospeso tra cielo
e mare, era frastornato; la ragazza l’aveva
ammaliato. Non tentò quella volta e
neppure nelle successive tre, quattro gite al
mare il benché minimo approccio: gli
bastava sapere che Anna era lì, a due passi e
un giorno o l’altro sarebbe riuscito a
rivolgerle la parola. Chissà!
Durante uno di quei fantastici viaggi in
treno, il macchinista, Augusto, parlò a lungo
con Ovidio della linea ferroviaria, della
destinazione del minerale e, man mano che
il trenino arrancava, elencava le località
attraversate: un’infinità di nomi per un breve
tratto, pochi chilometri appena.
Era diffusa l’usanza, in quel territorio
presidiato da pastori per secoli prima
che il progresso ne facesse un’area
mineraria, di dare un nome non solo a
ogni cima di collina, ma anche ad ogni
costone, ad ogni sentiero, ad ogni roccia.
Ogni appezzamento, ogni ovile, ogni
rigagnolo per quanto insignificante andava
battezzato per essere individuato dai
residenti.
Tra queste località vi era Is Animas, a
ridosso della laveria Brassey; Augusto
si dilungò per spiegare al ragazzo il
significato di quello strano nome. Gli
disse appunto che gli operai addetti agli
impianti della laveria e che
rientravano alle loro baracche,
soprattutto nelle fredde e buie serate
invernali, illuminavano, con le lampade
portatili a carburo, i due, tre
sentieri che conducevano ai vari
cameroni costruiti sui costoni e nelle
cime delle collinette. Erano uomini
e donne che rientravano quasi
barcollanti, sfiniti dalla fatica; il loro
caracollare faceva ondeggiare le fiammelle,
quasi ritmicamente, e si aveva
l’impressione che i minatori, nel loro lento
strascicare volessero lanciare segnali
piuttosto che illuminare il sentiero.
L’effetto di quelle luci viste dall’alto,
nelle buie notti di lunghissimi inverni
faceva pensare a torme di anime vaganti
nell’aldilà. Un vecchio, fornito di molta
fantasia e altrettanta ispirazione poetica,
diede appunto il nome Is Animas a quella
stretta vallata.
E quel nome è rimasto.
(I RACCONTI DI FRAILIS)
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