L'imbarco di Peppino, a Golfo Aranci, sul piroscafo diretto a Civitavecchia, avvenne la sera del 4 maggio 1921: la traversata durò circa tredici ore; il mare poco mosso non creò particolari disagi al giovane emigrante pur essendo quello il suo primo viaggio in nave. A Roma, salì sul treno diretto a Genova. Il viaggio durò l'intera notte; Giuseppe a mala pena riuscì a trovare posto in uno scompartimento già affollato di povera gente proveniente dal sud Italia, soprattutto dalla Calabria e dalla Campania. Emigranti pure loro. Valigie di cartone strapiene, anche le loro. Gli odori dei formaggi, dei salumi, delle focacce, dei peperoncini, dei limoni riuscivano a confondere, non certo a sommergere, quelli decisamente più penetranti degli abiti e dei passeggeri che accumulavano stanchezza, sudore e altre sgradevoli esalazioni che offendevano l'olfatto e rendevano irrespirabile l'aria dello scompartimento. Superati i primi dieci, quindici minuti si verificava, per fortuna, una sorta di assuefazione alla sgradevole e variegata esalazione e diveniva più accettabile il pensiero che tale miscela di odori, a una più attenta osservazione, la si poteva forse attribuire a una patina che ricopriva i sedili. Una specie di seconda pelle che si ispessiva sempre più con il tempo, conferendo all'intero ambiente una miscela nauseabonda di asprezza e acidità in una continua sovrapposizione di troppe esalazioni per cui diventava impossibile individuarne la fonte. Era insomma l'odore del treno, che un viaggio dopo l'altro acquisiva quasi una individualità propria e non già attribuibile al carico di uo-mini e cose che si alternavano all'interno degli scompartimenti. Si poteva pensare che l'eterogeneità dei passeggeri (la loro provenienza, il loro abbigliamento, i loro bagagli, la loro età, ecc.) venissero amalgamati e omogeneizzati e tutti quanti venissero poi irrorati da un dozzinale profumo, diventando semplicemente passeggeri di terza classe. Per Peppino, vissuto, in gioventù, anche a contatto degli odori i più disparati, compresi quelli acri e penetranti delle pecore, l'impatto iniziale fu pertanto di più breve durata, con un notevole accorciamento dei tempi normalmente richiesti ad altri per il loro superamento. Povera gente che fuggiva dalla miseria dell'Italia e che inseguiva il sogno di un grande Paese che prometteva lavoro per tutti, benessere per tutti, libertà per tutti. Tutti in America? sfuggì al frastornato Peppino. Tutti in America! risposero in molti. I dodici giorni del suo interminabile viaggio, Giuseppe Sulis di Montecciu, li visse quasi in trance, I passeggeri di terza classe (e Peppino fu uno di costoro) viaggiavano nel ventre della nave nei due locali adibiti a dormitorio: nel primo si trovavano i duecento posti riservati agli uomini e nel secondo altrettante cuccette per le donne e i bambini, I locali erano aperti, non suddivisi in cabine, e negli stessi ambienti venivano consumati anche i pasti. Ai passeggeri di terza classe era fatto obbligo di non lasciare il ponte C, che per di più non aveva alcun corridoio esterno. La necessità impellente - considerato l'esorbitante affollamento dei due ambienti - di effettuare le pulizie giornaliere e di far entrare un poco d'aria fresca attraverso gli oblò, dava la possibilità a quella povera gente di salire al ponte superiore, sebbene si fosse costretti a sostare in uno spazio recintato e piuttosto esiguo. Lassù la permanenza raramente superava le due ore. Non era esattamente una crociera. L'America, finalmente! All'alba del 19 maggio, la Cristoforo Co-lombo, annunciò il suo imminente arrivo a New York con tre segnali acustici intensi e prolungati, che poi furono ripetuti diverse volte, fino a quando quattro potenti rimorchiatori non presero in carico la complicata manovra di attracco, nel molo 59. Nei due dormitori dei passeggeri di terza classe (tutti aspiranti migranti) si diede inizio a una infernale sarabanda. Tutti vennero assaliti da una sfrenata agitazione che rendeva assolutamente convulso il via vai diretto alla riunione dei nuclei famigliari. Tutti si affannavano nella ricerca dei bagagli e dei documenti per lo sbarco. E come accade quando si è travolti dall'urgenza di trovare un oggetto, quella cosa, quella carta così importante - in questo caso la Inspection Card - ecco che diventa introvabile. Quella carta, la Inspection Card, era il documento necessario per essere autorizzati a mettere piede sul suolo americano; essa conteneva i dati anagrafici del migrante e veniva emessa nei porti d'imbarco dalle agenzie marittime a ciò autorizzate dalle Autorità statunitensi. Quello che sembrava un sottofondo chiassoso, divenne in poco tempo un frastuono assordante che rendeva incomprensibile qualsiasi parola anche a brevissima distanza. In massa, i passeggeri, tra urla, pianti e spintoni, si accalcarono in prossimità delle scale che portavano al ponte superiore. La folla venne in un primo tempo sufficientemente tenuta a bada da pochi uomini della sicurezza che, aiutandosi con sonori fischietti e con urla, riuscirono a imporre un minimo di ordine, facendosi spazio tra la folla e ripetendo in continuazione che occorreva far sbarcare per primi i passeggeri non migranti. Il tempo necessario alla prima fase dello sbarco, dissero, avrebbe occupato non meno di un'ora. L'avviso, anziché raffreddare gli animi, contribuì ancor più ad agitarli. Decine di persone divennero incontrollabili e i marinai furono costretti a chiedere l'intervento di un'altra squadra della sicurezza che arrivò di corsa e brandendo gli sfollagente. Alla vista dei manganelli la folla si acquietò; non subito, ma si acquietò. Lentamente iniziò la salita verso il ponte dove i migranti erano attesi dal personale medico che li avrebbe ispezionati, in modo sommario, per verificare l'eventuale esistenza di malattie contagiose che avrebbero comportato la quarantena. Il secondo controllo,a cura degli ispettori del Servizio Immigrazione, avrebbe verificato che ogni aspirante immigrato fosse fornito della Inspection Card. Apposite chiatte avrebbero poi effettuato il trasporto dei richiedenti il visto per l'immigrazione nel centro di accoglienza e controllo situato a Ellis Island, un'isoletta a qualche miglio dalla penisola di Manhattan e prospiciente la Liberty Island, dov'è situata la statua della Libertà. Coloro che, dai successivi e più accurati controlli medici, fossero risultati non idonei per svolgere un lavoro “ in quanto visibilmente affetti da disturbi psichici, in situazioni sanitarie precarie , o portatori di menomazioni fisiche “ avrebbero atteso a Ellis Island di essere imbarcati in un altro transatlantico per far ritorno in Italia. "Povera gente! “ esclamò Peppino a voce alta, quando sentì esporre dettagliatamente quel brutale percorso da parte di un funzionario del consolato italiano presente nella chiatta. Nella confusione dello sbarco e dei primi controlli, Peppino non ebbe tempo di guardarsi attorno e non vide la foresta dei grattacieli che, ormai sparita la foschia mattutina, si stagliavano all'orizzonte. Li osservò meglio mentre la chiatta si dirigeva all'isola purgatorio, a Ellis. Più che di ammirazione, il suo stato d'animo era di inquietudine, di una sottile apprensione che non riusciva a dominare. Quello stato d'animo era forse alimentato e ingigantito dall'essere solo, senza Filomena. Gli riusciva difficile pensare a lei in quello sperduto paesino della Sardegna, mentre lui stava per iniziare una nuova vita nella più grande città del mondo. Questo pensiero gli occupava ogni angolo della sua mente e gli procurava un insopportabile peso che lo stava schiacciando. Ma non avrebbe ripetuto l'errore già fatto con la fallimentare esperienza del lavoro in miniera. In quella sciagurata situazione si trattava di lavorare al buio e a trecento e più metri sottoterra. "Ma New York è all'aperto, alla luce del sole. Sono in America!"
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