German Espinosa - alcuni brani di Le coorti del diavolo (Ed. Einaudi 1973 - trad. Lucrezia Cipriani Panunzio)

 Un aspro e penetrante odore di escrementi umani, rifiuti, sangue e angoscia ammucchiati assalì Manozga quando entrò nelle prigioni. I carnefici sistemavano gli arrugginiti strumenti di tortura e, nella confusione, si udiva la risata di Fernandez de Amaya, in tonalità soprano, uscire diafana e garrula per poi disperdersi lungo i sotterranei. Manozga si sarebbe meravigliato meno di trovare lì il re di Spagna, di quanto lo fu nell'incontrarsi faccia a faccia con la timorata di Dio che aveva cercato di convincere un carnefice con la sua storia del barbiere prodigioso.

- Voi, vecchia spetecchiona, - e fece una pernacchietta con la bocca, - ancora qui? Non vi ho detto che ero disposto  incenerire bigotte in mancanza di stregoni? Vi siete dimenticata che  mi chiamo Manozga, donna, e mantengo ciò che prometto?

- Stregoni non ve ne mancano, - replicò la donnetta nei cui occhi cominciava a risplendere  una luce fanatica. - Io sono venuta a portarvene uno che dice di essere Temistocle, Caligola e persino lo stesso Papa Leone IV, quello che sbaragliò i saraceni a Ostia.

- Filate con i vostri peti da un'altra parte, - bofonchiò l'Inquisitore e proseguì il suo cammino con la beghina alle costole.

- Inquisitore, da quando in qua avete paura degli stregoni? Da quando in qua?

Il fetore di quella cloaca gli si incollava alle narici, gli inondava di gas i polmoni e finiva per arrivargli al cuore. Manozga accelerò il passo.

- Dal giorno in cui Buziraco sparse il suo seme per la regione e inaridì i fichi come Cristo e fece morire i buoi di peste e non lasciò che pietre nei campi? Da allora, Inquisitore? O voi stesso siete uno stregone che ha perso i poteri?

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