GLI INQUILINI (The Tenants) di Bernard Malamud

 Le scale avevano un puzzo misto, del più sudicio sudiciume, di urina, di vomito, di vuoto. Corse su per sei rampe in ombra, illuminate dove  lui aveva sostituito le lampadine morte o morenti, le lampadine morivano come mosche; e arrivato al suo piano, ansando, aprì la rumorosa porta di sicurezza che dava in un buio, macchiato, vecchio corridoio dalle pareti grige piene di buchi da cui si vedeva la struttura. A quel piano c'erano sei appartamenti, tre per parte, deserti tranne per l'habitat di Lesser  a sinistra entrando; come carcasse  di tacchino dopo una festività, quasi tutte le porte avevano perso maniglie e serrature, staccate  da ospiti non invitati: vagabondi, ubriaconi piscioni, drogati senza volto - estranei che entravano per sfuggire al freddo, alla neve, e si arrampicavano fin lassù perché il sesto piano sta sopra al quinto. Un Everest del povero, anche gli storpi si elevano, uno zoo di "Io" senza casa. Che cercavano? non la gloria ma un letto senza letto per le ore piccole e deboli;  e al mattino fracassavano i vetri delle finestre come pagamento per la notte di non riposo - dopodiché vento e pioggia spazzavano l'alloggio finché qualcuno non inchiodava un'asse sulla finestra - saccheggiando tutto quello che potevano: fili della luce, chiodi, specchi, porte di armadi a muro scardinandole o lasciandole appese a un cardine solo... 

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