LA COINCIDENZA
Firenze – 3 maggio 1871.
L’onorevole Quintino Sella, ultimata la
colazione nell’Hotel Columbia Parlamento,
s’incammina verso piazza della Signoria. Lo
attende una mattinata intensa dovendo
esporre alla Camera dei deputati la relazione,
o meglio la parte introduttiva della Relazione
sulle condizioni dell’industria mineraria
nell’isola di Sardegna.
L’indagine sulla situazione delle miniere in
Sardegna lo vide impegnato per quasi tre anni
e ora le circa duecento pagine della relazione
(storia, situazione presente e proposte per il
futuro) erano pronte e stampate. I 508
deputati dell’allora Parlamento del regno
d’Italia avrebbero potuto prendere in visione
il materiale per assumere le deliberazioni
conseguenti.
Arrivare in piazza della Signoria dopo aver
percorso le anguste vie che dall’albergo
Columbia conducevano al maestoso Palazzo
Vecchio, era sempre un’esperienza nuova.
Difficile abituarsi a quel gioiello
architettonico arricchito dal David di
Michelangelo (all’epoca l’originale, non
una copia): la grandiosità e la bellezza
del posto procuravano sempre inusitate e
coinvolgenti emozioni.
E ancora, l’ingresso nel Salone dei
Cinquecento non poteva che essere
ogniqualvolta un’impareggiabile esperienza
estetica. Niente da invidiare al Palazzo
Carignano, tutt’altro.
L’unico neo di quell’inimitabile
complesso architettonico e artistico era
rappresentato, per l’onorevole Sella, da una
lugubre immagine che non riusciva a
rimuovere dalla sua mente: i corpi del
cardinale Francesco Salviati e del nobile
Francesco de’ Pazzi che penzolavano
impiccati da una finestra della facciata di
Palazzo Vecchio.
Il deputato piemontese, intellettuale
raffinato e appassionato di storia, era a
conoscenza di quelle scaramucce politiche
fiorentine avvenute quattrocento anni prima
e l’immagine di quei corpi penzoloni lo
turbava, immancabilmente.
Onorevoli colleghi.
L’importanza dell’industria mineraria della
Sardegna era nota a tutti noi prima
che ci
recassimo nell’Isola onde compiere l’alta
missione che il Parlamento ci affidò…
Nelle oltre duecento pagine della
Relazione si dispensano sperticate lodi alle
iniziative imprenditoriali degli industriali
minerari e soprattutto ai notevolissimi
vantaggi che le miniere non possono che
elargire a tutti gli indigeni.
I gruppi di case e magazzini, costruiti attorno
alle principali miniere danno loro un aspetto
di piccoli villaggi, dove, oltre al personale
comune dei lavoranti, hanno in parte
dell’anno sede uomini dotti e industriosi
educati nei paesi più civili d’Europa…
A motivo della ricchezza e purezza delle vene
di galena, la massima parte del minerale
commerciabile viene ottenuto direttamente
con una semplice(!) cernita a mano, ed in
parte con una lavatura, grossolanamente
eseguita, del minuto entro stacci a scossa,
semplicissimi, denominati nelle miniere di
Sardegna crivelli sardi.
Che il lavoro dei minatori sia stato sempre
assimilato ai lavori forzati di un condannato o
al lavoro degli schiavi, non è mai stato un
mistero. Il lavoro leggero dell’esterno,
riservato in buona parte a donne e minori
(all’epoca sotto i 14 anni) sia maschi
che femmine, venne solamente accennato
nella relazione dell’onorevole Sella.
Relazione che sfiora appena la fatica
compiuta dalle donne che portavano
sulla testa, per diverse centinaia di metri, le
ceste stracolme di minerali e che pesavano
mediamente cinquanta chili.
E nemmeno è superfluo ricordare che il
lavoro delle cernitrici veniva svolto a mani
nude con la conseguenza che le inevitabili
ferite derivanti dal maneggio dei minerali
procuravano danni seri. Infatti le sostanze
nocive si propagavano nell’organismo per via
di quelle lacerazioni continue e non
disinfettate.
I crivelli sardi, citati dall’onorevole Sella,
erano veri e propri strumenti di tortura visto
che venivano azionati a mano immergendo il
contenitore del minerale da lavare nei tini
colmi d’acqua. Il meccanismo veniva azionato
tramite un palo di legno cui era agganciato il
crivello (una sorta di setaccio in ferro) che
per dieci, dodici ore al giorno veniva
sollevato e poi immerso nell’acqua, e così via
sino allo sfinimento. Anche questa
specializzazione era riservata alle donne…
Ma l’importante era sottolineare che:
Non sono mancate in Sardegna
miniere che hanno dato vistosissimi
guadagni come Montevecchio….Può
quindi affermarsi che in generale i maggiori
vantaggi…si sono riversati sulle province…
e sul Paese in generale, che si è arricchito di
una nuova e crescente produzione…
Frequenti abitazioni, magazzini, laverie ed
altri stabilimenti incominciano ad imprimervi
l’aspetto di un paese industriale, a cui, in
mancanza di prodotti di un suolo di non facile
coltivazione, supplisce l’arte applicata
all’estrazione delle sostanze minerali con
mezzi già abbastanza grandiosi,perché
alcuna tra le principali di quelle miniere
possa reggere al confronto di quelle rinomate
d’altri paesi.
E così una vera colonizzazione
spontaneamente nata e cresciuta viene a
ravvivare quelle regioni prima deserte e
selvagge, procurando in pari tempo un giusto
compenso agli arditi imprenditori che
andarono a rischiare capitali e salute in quei
siti per lo più afflitti dalla malaria. (segue)
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