Ancora da I RACCONTI DI FRAILIS - La promessa

Le abitazioni, poco più che baracche, venivano concesse in affitto, dietro corrispettivo di un modestissimo canone, non certo per spirito filantropico, ma per la semplice ragione che, non esistendo mezzi di trasporto idonei, costituivano la inevitabile soluzione di un problema logistico. La maggior parte dei “minatori“, però, preferiva affrontare la fatica di un’ora o due di cammino, pur di non abbandonare le abitazioni situate nei paesi circostanti e in questo modo alle otto-dieci ore di duro lavoro aggiungevano anche le due o tre orette di “viaggio”, tra andata e ritorno. Nell’assegnazione degli alloggi si dava priorità ai minatori sposati e ancor più, naturalmente, si favorivano le famiglie numerose. Le abitazioni, nella quasi totalità, erano a un solo piano e comprendevano non più di due o tre vani. I residenti le chiamavano “cameroni”. Le facciate esterne erano dipinte di rosso, giallo, bianco, verde….Venivano individuati come “cameroni rossi”, “cameroni bianchi”, “cameroni gialli”…. Le case erano affiancate le une alle altre: una sorta di villette a schiera a un solo piano, il più delle volte prive dei servizi essenziali. Intendiamoci,  non è che le abitazioni nei paesi della Sardegna, all’epoca, fossero dei capolavori urbanistici, tutt’altro. I paesi circostanti la zona mineraria di Montevecchio e Ingurtosu erano il risultato di una scelta urbanistica che nulla aveva da spartire con le idee del barone Hausmann … Si trattava di un ammasso informe di misere casupole che si affacciavano tristemente ai lati degli “stradoni”. Stradoni venivano chiamate le tratte “urbane” delle strade provinciali o statali che scorrevano lungo i paesi e che di questi costituivano l’unica vera arteria percorribile dal variopinto traffico che si può immaginare prevalentemente animale, come a dire animale vero e proprio e umano. Scorrevano gli stradoni come fossero dei fiumi e, come tutti i corsi d’acqua della Sardegna, se presentavano un aspetto tranquillo, quasi placido, nei lunghi mesi asciutti, divenivano invece impetuosi torrenti fangosi durante e dopo le abbondanti piogge invernali. E come fiumi venivano alimentati dagli affluenti di sinistra e di destra, cioè quella rete intricatissima di vicoli e vicoletti, che fungevano da canali di raccolta delle acque. Quel vasto delta si ramificava per l’intero paese a formare una sorta di inestricabile labirinto, noto solamente a chi vi abitava. E questa frequentazione riservata solamente a coloro che abitavano nelle strettissime viuzze del vicinato, costituiva, in un modo o nell’altro, anche una sorta di network anti rapina. La rete delle conoscenze era talmente organizzata che non solo le persone, ma anche i gatti e i cani erano additati quali forestieri, facendo scattare in un baleno l’informazione porta a porta “ma di chi sarà quel  cane” oppure “un gatto così nero non l’avevo mai visto da queste parti”. Figurarsi poi se a bighellonare era qualche giovinastro, discolo o sfaccendato, che magari si ritrovava a passare da quelle parti con la balorda idea di entrare in un cortile o in una casa… Questi i pensieri e i timori ricorrenti, tranne poi a scoprire che il giovanotto voleva semplicemente farsi notare, mentre fumava una sigaretta, dalla belloccia del quartiere, per meglio dire, del vicinato. Ma, torniamo a Piccalinna. Bel nome, Piccalinna! Un nome che fa immaginare boschi di sughere frequentati da picchi con le piume dai colori sgargianti; rumorosissimi nel loro infaticabile beccare con un ritmo frenetico, rituale, prolungato, diretto a stanare eserciti di formiche e di insetti vari che hanno i loro rifugi nelle corazze delle querce. La lingua sarda, poco letteraria per tradizione, presenta alcune volte delle vere e proprie perle: picca (battere, picchiare) e linna (legno, legna); quale migliore soluzione linguistica di quella che identifica un animale, una pianta, un fiore con l’azione che gli è più congeniale, usuale, nota. Piccalinna, l’uccello che picchia sui tronchi degli alberi. Segue ... Libero Concas. I RACCONTI DI FRAILIS: STORIE DI DONNE, UOMINI E MINIERE (p.108). Edizione del Kindle.

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