Dall'edizione italiana del 1972 (EINAUDI Editore) - traduzione di Floriana Bossi.
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In quella fredda matttina d'inverno mentre il radiatore rugginoso bussava come un gioviale ospite ma spandeva un debole calore, con la neve di ieri alta venti rigidi centimetri sulla strada bianca, attraverso la quale filtrava la fuliggine indigena, Harry Lesser, un uomo serio, si allaccio il suo pezzo di tempo al polso - il tempo lo portava anche sulla schiena - e corse giù per sei sporche rampe di scale del massiccio edificio di mattoni quasi abbandonato, anno 1900, sbiadito, nel quale abitava e scriveva. Trentacinque famiglie l'avevano evacuato nei nove mesi dopo l'avviso di demolizione ma non Lesser, lui resisteva. Attraversando la Terza controluce, sentendo nel fango della strada che aveva lasciato le soprascarpe sotto l'acquaio, Harry, con i mocassini bagnati, saltò dentro una drogheria per comprare pane, latte e mezza dozzina di mele. Mentre trottava verso casa dava occhiate periferiche a destra e a sinistra, poi furtivamente ale spalle per vedere se il padrone di casa o uno dei suoi accoliti legali erano appostati sulla soglia bagnata di qualcuno o accucciati dietro un'automobile dal tetto di neve, in attesa di Lesser. Un'idea inutile perché che cosa potevano fare se non tentare ancora una volta di persuaderlo, e in quella faccenda lui non era persuadibile. Levenspiel vuole che se ne vada dalla casa per poterla demolire e costruirne un'altra ma lui tiene Levenspiel per la palle. L'edificio aveva gli affitti bloccati e dal District Rent Office - lo conoscevano molto bene - Harry aveva saputo che lui era un inquilino regolamentare con certi diritti. Gli altri avevano accettato la liquidazione del padrone di casa ma Lesser era rimasto e sarebbe rimasto ancora un po' per poter finire il libro dove il libro era nato. Non era sentimentalismo, lui viveva sulle abitudine; fa risparmiare tempo. Lasciando perdere le palle congelate di Levenspiel, Harry corse a casa sulla neve. La casa è dov'è il mio libro.
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